( rubrica a cura di Valentina P. )
http://youtu.be/7THqpUovllM................................ “Il mondo si evolve e noi dobbiamo adattarci, dobbiamo evolverci. I talent offrono uno spazio, perché non approfittarne? Per una questione di etichette? Per snobbismo? Tanto il talento vero alla fine è quello che paga e se non c’è trippa per gatti puoi vincere tutti i talent che vuoi, viene fuori e vieni fuori. Ma se hai qualcosa da dire allora vai, partecipa al talent, partecipa a quello che vuoi ma fatti sentire. Io seguo molto X Factor, mi appassiona devo ammetterlo. Marco Mengoni è uno dei miei preferiti come scoperta di un Talent Show. Ora non è più Marco Mengoni di X Factor, è Marco Mengoni”. .................................
Salve a tutti! Queste le parole pronunciate qualche settimana fa da Laura Bono, cantautrice varesina che ha avuto il suo momento di massima popolarità a Sanremo 2005, ma che l’anno successivo non ha disdegnato una partecipazione al talent targato RAI, Music Farm. E che avrà detto mai, di tanto rivoluzionario? Un concetto vecchio quanto il mondo, che però nel panorama odierno pare una sorta di blasfemìa. Gli schieramenti sono due: gli snob, che denigrano a priori una persona per il solo fatto di aver tentato la strada televisiva, criticando aspramente la mancanza della cosiddetta “gavetta” (ma che ne sanno loro poi?); i nazional-popolari, che in maniera altrettanto paradossale scambiano per artisti veri tutti i fuoriusciti dai talent show, dando per scontato che vendere dischi pop-olari significhi automaticamente essere talentuosi e meritevoli. E anche questo no, non è per nulla vero. Il tutto senza considerare che probabilmente il talent è sì una scorciatoia – perché consente allo sconosciuto di turno di fare una scorpacciata di popolarità, e diventare appetibile per le fameliche major discografiche, che ormai mettono sotto contratto solo chi ha già un seguito di fan – ma è anche un trampolino “insicuro”, perché una volta terminata l’ondata popolare, o alla base esistono già un progetto artistico credibile e un gruppo di lavoro all’altezza, oppure si cade in un oblìo che è mille volte peggio del sano anonimato delle origini. Per la serie: era diventato famoso, ma non ce l’ha fatta. Per quanto riguarda Marco, il suo percorso è stato abbastanza ricco e travagliato; di certo, la gavetta c’è stata (matrimoni, feste di paese, e chi più ne ha, più ne metta), e all’inizio lui avrebbe preferito farcela senza scorciatoie televisive. E dunque ha tentato di presentarsi alle case discografiche con il suo esuberante e innegabile talento vocale. Il risultato? “Canti troppo bene”, uno dei commenti più paradossali che gli è toccato sentire, a giustificazione delle stroncature. E a conclusione di una serie di fallimentari tentativi, il ventenne Marco avrebbe potuto fare due cose: o appendere il microfono al chiodo (... ma vi pare?) oppure tentare la strada del talent. Amici, XFactor, poco importava quale. Lo ha dichiarato lui stesso, senza mai mostrare alcuna forma di snobismo verso il programma di Canale5, campione di ascolti televisivi, ma non spesso di qualità.
Sta di fatto che è come dice Laura Bono: Marco non è mai stato una voce e basta, ha sempre avuto qualcosa in più. E in tal senso, XFactor gli è servito non tanto per la popolarità (specie considerando gli ascolti che faceva rispetto ad Amici... una ridicolaggine!), quanto per mostrare sul palcoscenico che sì, quella era proprio la sua strada. Basti pensare alla serie di cover strepitose che a suo tempo inanellò settimana dopo settimana, guadagnandosi il favore del pubblico, la dedizione di giudici e addetti ai lavori, e un inizio di credibilità artistica che tutt’oggi tiene alta e accresce, anno dopo anno. E poi ci sono stati i vari Sanremo, le lunghe tournee, i riconoscimenti, ma anche i momenti di down, la crisi con i vecchi produttori, le delusioni e i salti nel buio con il nuovo management. In tutte queste alterne vicende, Marco Mengoni ha continuato imperterrito a salire sul palco, e mai l’ho visto sottotono, demotivato, svogliato, adagiato sugli allori. In lui, e nel suo percorso, ho sempre visto la voglia di fare “il meglio” possibile, la passione per la musica, il rispetto per il pubblico. Possono sembrare valutazioni retoriche, associabili a chiunque, ma non è così. In cinque anni di carriera, si possono contare sulle dita di una mano i playback, evitati accuratamente anche in occasione di manifestazioni “minori”; nelle svariate decine di concerti tenuti in giro per l’Italia, Marco ha sempre mostrato una forte propensione a cambiare scaletta, inserire nuove cover, riarrangiare pezzi, stravolgere interpretazioni. Avrebbe potuto rilassarsi tra una replica e l’altra dello spettacolo, e invece no: 60 concerti, 60 variazioni vocali al medesimo brano, e puntualmente qualche aggiustatina qua e là alla parte strumentale. Tipo che se uno si prende la briga di riguardare i video dei vari tour, fa oggettivamente fatica a beccare due esibizioni dello stesso pezzo uguali tra loro. E non è una cosa proprio consueta, nel panorama pop.
A tutto questo si aggiunge il suo istintivo “darsi” sul palco, anche quando le condizioni fisiche (vedi corde vocali allo stremo!) non lo avrebbero consentito: e secondo voi il Mengoni è tipo da risparmiare voce ed energie? Giammai! Per tutto questo, e per molto altro ancora, Marco Mengoni sarebbe diventato Marco Mengoni con o senza XFactor. Non semplicemente perché ha talento innato e classe da vendere, ma anche perché ha una fortissima propensione al lavoro, all’autocritica, al miglioramento personale. E dulcis in fundo ha sempre avuto tanto, tanto da dire. A modo suo.
Un mix a dir poco letale. Quindi W i talent come strumento per la scoperta dei nuovi artisti... e abbasso gli snob e i rosiconi. Alla prossima!