Fattore M: spazio dedicato a Marco Mengoni. Resoconto/recensione della data napoletana del Tour Teatrale: foto e video.

Categorie: Musica, Rubriche



( rubrica a cura di Valentina P.)

Salve a tutti. Come promesso, dedico la rubrica di questa settimana a recensire la data napoletana del Tour Teatrale, a cui ho partecipato sabato 19 maggio nella splendida location del Teatro Augusteo.



Inizio col dire che il teatro aveva un’acustica a dir poco perfetta, e che inoltre si vedeva benissimo. Per dovere di cronaca, aggiungo che il pubblico è stato molto rispettoso della natura dello spettacolo a cui stava assistendo. In sostanza, niente urla, schiamazzi, cori stonati e battiti di mani inappropriati. Deo gratias!

Da dove comincio? Quando ho visto il palco, ho capito cosa intendeva il Mengoni con il discorso dell’essenzialità: in pratica, c’erano solo gli strumenti, due pannelli ai lati su cui proiettare immagini, un telo sul fondo per “assorbire” le suggestioni cromatiche, ed un tendaggio nella parte anteriore del palco, usato per “nascondere” Marco all’inizio dello spettacolo, durante il primo pezzo (Tonight). La mia curiosità principale era capire come se la sarebbe cavata il Mengoni senza la coda di coniglio, cioè senza l’imponente contorno che ha caratterizzato le sue precedenti tournee.



Lo spettacolo, dicevo. Innanzitutto, mi sento di dire che di show c’era ben poco. Il tutto era organizzato, improntato, saldamente basato su musica, anima, colori… una triade perfetta, per un concerto per certi versi rischioso: l’attenzione era totalmente concentrata sul Mengoni, la sua voce, la sua comunicazione, per cui una minima sbavatura sarebbe risaltata notevolmente. Personalmente, in due ore e mezzo di concerto non ho sentito neppure un’indecisione, una stecca piccola piccola… niente di niente. Una performance vocale da brividi, a dispetto di febbre e placche alla gola (ormai parte integrante della vita di Marco).  E poi la musica, con la riproposizione di quasi tutti i brani di Re Matto e Solo 2.0, tutti riarrangiati e valorizzati dall’inserimento della sezione fiati, con gli ottimi Federico Missio&Mansutti. La rivisitazione in chiave soul, jazz e R&B, conferisce ai brani una veste più prestigiosa ed elegante. Persino una canzone leggera come Stanco, così rinnovata mi ha convinta! Se non fosse che alcuni brani di Re Matto non li digerisco per nulla (vedi Questa notte e In viaggio verso me), direi che ho adorato la totalità della proposta musicale.

Ma torniamo al concerto, che è diviso in due parti: della prima (quella più composta), oltre ad una suggestiva “Tonight”, mi hanno colpita una molto ritmata “Credimi Ancora”, e successivamente l’epica versione di “Solo”, molto carica sia emotivamente, che musicalmente, con una splendida intro strumentale a base di pianoforte e fiati. A seguire la prima cover, “Can’t Help Falling in Love” di Elvis, un vero e proprio esercizio di stile del Mengoni. Morbida, carezzevole, seducente. Ad un certo punto, il nostro s’è interrotto, chiedendo ai musicisti “più swing!”. Detto e fatto. Il pezzo ha subito una sorta di accelerazione ritmica, per poi chiudersi con l’eleganza originaria. Risultato favoloso.

Sempre nella prima parte dello spettacolo, il Mengoni ha eseguito una splendida versione di “Searching” (QUI) - che, come si dice dalle mie parti, ha preso un milione di punti con il nuovo arrangiamento – ed una “Dall’inferno” molto selvaggia, primordiale, conclusasi con un assolo di percussioni (il Mengoni a cavalcioni sul bongo rimarrà nella storia di questo tour!). Una menzione speciale anche per “L’equilibrista”, durante la quale Marco ha creato un effetto visivo molto suggestivo battendo una mano contro il telo sul fondo del palco, e creando un effetto di riverbero dei colori, simile ad un cuore pulsante. Momento molto intenso, assieme all’esecuzione di “Tanto il resto cambia” che, abbassata di tonalità e riarrangiata con i fiati, è più struggente che mai. Dulcis in fundo, una versione di “Psycho Killer” da ululato libero… il Mengoni, non appena è partita l’intro, si è trasfigurato: occhi sbarrati, giacca aperta, camicia sbottonata, movenze più disinibite. Sinceramente, stare ferma sulla poltrona è stato un martirio in quei frangenti…

Fine primo tempo, ho respirato un po’. Avevo la sensazione di aver assistito ad uno spettacolo bellissimo e musicalmente curato nei minimi dettagli, ma forse un po’ freddo per gli standard di Marco. Come non detto: non appena iniziato il secondo tempo dello spettacolo, e opportunamente passato ad un abbigliamento più casual (pulloverino con cravattino di ceramica, decisamente meglio del completo nero Armani della prima parte che – per carità – sarà pure il massimo dell’eleganza, ma è tipo 3 taglie più grande del dovuto!) eccolo scendere tra il pubblico, per il suo primo bagno di folla. Tutto bene, tranne per una signora che, saltata in piedi, lo ha fugacemente abbracciato. Tornato sul palco, il Mengoni ha dato vita alla seconda, esplosiva parte del concerto. Tra le tante, ho adorato “Mangialanima”, trasformatasi in una marcia trionfale, e l’incalzante cover “The switch” dei Planet Funk. “The fool on the hill” dei Beatles è stata rivisitata in chiave soul-psichedelica, ed il risultato è decisamente degno di nota.

Adorazione totale per il momento di “Rehab”: magia completa. Una voce immersa nel silenzio della sala, accompagnata dalle sole percussioni. E quel canto straziante alla fine “Go Amy go, to Heaven…” ripetuto come un mantra… bellissimo ed emozionante.

Per non parlare di quella bomba ad orologeria che va sotto il nome di medley “Motown” (il Mengoni lo ha introdotto con una sveglietta in mano, facendo il gesto di riportare le lancette indietro nel tempo): un trionfo di jazz, soul ed R&B, eseguito in maniera carica, coinvolgente, sfrenata, coronata da un assolo di chitarra del sempre ottimo Cornacchia, che induce inevitabilmente ad alzarsi, ballare, saltare. A proposito di questo, nella seconda parte dello spettacolo Marco ha effettivamente invitato il pubblico a “rompere le righe”, e a dirigersi sotto il palco, ma sinceramente la sua iniziativa ha creato molti meno disagi di quelli che pensassi. Unico inconveniente, la ragazza che, sul finale (durante l’interpretazione di “Uranio 22”, se non vado errato…) si è letteralmente lanciata tra le sue braccia, accolta dall’esclamazione di Marco: “E che è? Michael Jackson?”; la scena inizialmente spiazzante, è stata a tratti comica, perché c’era lei avvinghiata al collo del Mengoni, lui che con una mano ricambiava l’abbraccio, e con l’altra reggeva il microfono continuando a cantare, i musici che sghignazzavano sotto i baffi, l’uomo della security che cercava di separarli. Intendiamoci, non condivido il gesto però, lì per lì, è stata da ridere. Comunque ottimo sangue freddo di Marco.

Bellissimo inoltre il momento in cui Marco ha cantato “In un giorno qualunque”, invitando sul palco una bambina di circa 4-5 anni, timidissima, con cui ha amabilmente cercato d’interagire… che tenereSS!

Il concerto si è concluso con una spettacolare jam session dei musici, che hanno letteralmente infiammato il palco, consentendo nel contempo la fuga del Mengoni dall’Augusteo.

Durante la serata, specie nella seconda parte dello spettacolo, Marco ha molto interagito con il pubblico, lanciando i suoi estemporanei messaggi, e buttandosi in maniera ardita nell’esercizio della lingua napoletana: il risultato è stato a tratti esilarante. Ed il pubblico partenopeo ha molto apprezzato.

Ho scritto un papiro, ce l’ho fatta? Avrei tante altre cose da dire sul concerto dell’Augusteo. In primis, mi va di sottolineare che, dopo tanto, ho rivisto l’anima di Marco. Per quanto abbia adorato gli spettacoli dei palazzetti, che lui sapeva gestire con maestrìa (avendo il piglio della pop star consumata!), questi ultimi mi parevano abbastanza penalizzanti delle sue capacità espressive. Il teatro ha ristabilito l’equilibrio tra il cantante (superbo!) e l’interprete, la musica e l’anima. Altro aspetto degno di nota è la rinuncia alla cosiddetta cornice, che ha esposto il Mengoni a tutta una serie di rischi; il concerto infatti è per chi ama la musica pura, la cura del suono, l’essenza delle cose. Il tutto è basato su scelte per nulla “gigione”, ci sono pochissime concessioni “popolari”. Non intendo fare un discorso snob, solo sottolineare che il buon Mengoni, anche negli atteggiamenti, è molto meno “ruffiano” che in passato: durante lo spettacolo, fa quello che piace a lui, non quello che pensa possa piacere al pubblico. Basti pensare alle scelte delle cover che sono tutto, fuorchè nazional-popolari. L’ho trovato inoltre ancor più padrone del palco di quanto lo ricordassi, sicuro e consapevole del suo potere, meno ammiccante che in passato (nel senso che non ammicca più: parla a raffica, senza celarsi dietro sensi sottesi, portando sul palco pregi e difetti dei suoi 23 anni!), e vocalmente più misurato. Insomma, dieci e lode Mengoni. Ah, la prossima volta ci risparmiasse il sexiSSSSimo strip-tease dietro il telo, grazie.

A giovedì prossimo. 😉