Marco Mengoni intervistato da Repubblica:”Ormai si fanno dischi come se fossero biscotti, o meglio, fustini del detersivo: il progetto che costa meno è il migliore.”
Chia Novembre 23, 2011
Ciao mod 🙂 notifico: oggi sul sito di “la Repubblica” è uscita l’intervista completa a Marco Mengoni, vi invio il link un bacio, Ricciolina
Due giorni fa presso la redazione fiorentina del quotidiano ‘La Repubblica’ alcuni fans selezionati tramite un concorso hanno avuto modo di partecipare ad un incontro con Marco Mengoni. Nel corso dell’incontro Marco è stato intervistato dai giornalisti de ‘La Repubblica’ e ne è venuto fuori un dialogo molto interessante sulla musica,sulla situazione della discografia italiana e sulle difficiltà che incontrano i giovani esordienti. Questi alcuni dei passaggi salienti:
Il suo precedente tour era uno spettacolo complesso. Quello che sta per iniziare?
«Lo sarà ancora di più altrimenti sarebbe stato un passo indietro. La cosa di cui sono molto fiero è che utilizzeremo giovani artisti come ballerini, per i costumi, per le proiezioni: ospiteremo ragazzi che escono da scuole d´arte ed accademie. Credo che sia giusto aprire porta a giovani che hanno talento e non vengono sostenuti. Certo, creare uno spettacolo con artisti non professionisti implica il rischio di fare più errori. Ma almeno c´è carne e sangue. Per quanto mi riguarda, troppo spesso ci si dimentica che io ho fatto un sacco di cose prima di X Factor. Sembra che sia partito da zero con quella trasmissione, ma non è così: prima ci sono state feste di piazza, concerti nei locali, nelle birrerie. Ho fatto un po’ di tutto: a 17 anni sono andato a vivere da solo a Roma, studiavo e lavoravo».
Vuole fare concorrenza ai talent show televisivi, da cui proviene?
«Più che altro critico lo Stato, che non aiuta i giovani talenti. E denuncio l´arretratezza del sistema dello spettacolo in Italia. Non si sa tirar fuori da un artista quello che ha da dire. Ormai si fanno dischi come se fossero biscotti, o meglio, fustini del detersivo: il progetto che costa meno è il migliore. Il problema della crisi del mercato discografico non dipende solo dalla pirateria su web. Si vendono meno dischi anche perché gli artisti hanno poca libertà di esprimersi. Io sono fortunato perché ho del pubblico e più gradimento hai, più hai potere verso la casa discografica di far vincere le tue idee. E´ una cosa squallida, lo so, ma questa è la situazione».
Anche lei è d’accordo con chi sostiene che, oggi, il tour conta più del cd, perché ormai i dischi non si vendono più?
«Se calcoliamo che fino a vent’anni fa il disco d’oro era un milione di copie, ora è 35 mila, si capisce quanto stiamo regredendo a vista d’occhio. E’ importante il live perché è veramente uno scambio e comunque puoi mettere molto di più rispetto al disco perché mutevole per definizione. E’ come un carrozzone che, viaggiando, accumula esperienze, pensieri, concetti di città in città. Il live è sempre in evoluzione, ha molto più tempo per essere manipolato rispetto al disco. Per quanto riguarda Solo 2.0, appena uscito volevo già cambiarlo tutto».
Per questo, dai primi video «rubati» su Youtube, nel nuovo concerto molti pezzi dell’ultimo cd risultano già diversi rispetto alla registrazione.
«Esatto, ci abbiamo voluto rimettere le mani. Mentre per chi fruisce un disco l’uscita è la nascita vera dell’album, per noi che lo abbiamo realizzato è la morte. Per chi lo fa, un disco quando esce è già vecchio, perché ci lavori da un anno sopra e senti sempre gli stessi pezzi che hanno poi la possibilità di maturare in testa e nella pancia. E poi, alla base di questa voglia di rimaneggiare, c’è proprio voglia di cambiare».
La solitudine: un male necessario o un valore aggiunto?
«Un valore, senza dubbio, perché ti aiuta a crescere. Prima era una condizione da cui volevo ma non potevo scappare, ora la cerco perché ne ho bisogno per capirmi, farmi i complimenti o criticarmi. Non è narcisismo: chiunque salga sul palco deve essere per forza egocentrico, sennò non dà niente. E´ su altri livelli che la mia insicurezza esplode: so affrontare 3mila persone in un palasport e poi non riesco a chiamare un taxi. Però questo è il mio habitat, il mio bioparco, e ci sto bene».
La solitudine è un segno di maturità?
«Col tempo, impari a conviverci. Nell´adolescenza, dove tutto è un po´ in penombra, ci fai a botte. la gestisci. L’età ti insegna ad affrontare molto ma, grazie al cielo, non tutto: io sono convinto che più si diventa grandi e più si regredisce perché apprendi tante cose e ti limiti. Da piccolo sei molto più libero, più aperto ad accettare emozioni».
Cos´è per lei la voce?
«Un mezzo. Io odio la musica come dipendenza da tecnicismo assoluto. Non consiglio di seguire corsi di canto, che ti insegnano a mantenere bene le tue corde vocali ma non a cantare: come quando ti dicono che il tuo fisico, per essere in forma, deve stare a ditea. Hai stonato? Sei calante? Chi se ne frega! Io molte volte lo faccio anche apposta: se ti metti dentro schemi o ti accademizzi troppo non trasmetti più niente. Per questo io ho mollato tutti i corsi musicali che frequentavo: gli insegnanti di canto ti insegnano persino a fare dei glissando sulla parola “amore”, ma la tua creatività dove va a finire?».
Lei crede dunque nel valore estetico dell´errore.
«L´errore è verità e la verità paga sempre, è giusto che si facciano errori nell´arte come nella vita, perché poi si impara da che parte andare, cosa scegliere. I miei genitori mi hanno lasciato abbastanza libero e io sono contento di come sono. Non sono certo diventato un assassino. Certo, in una canzone non devi stonare dall’inizio alla fine, ma qualche macchia ci sta bene».
Ha cantato con Zero, con Dalla. Imparando cosa?
«Una cosa orribile tutta italiana è che si fanno tributi soltanto a persone morte. Dovremmo imparare dai cugini americani a omaggiare anche quei grandi artisti che hanno ancora tanto da insegnare: mi è servito tantissimo anche solo guardare la gioia per la musica che hanno negli occhi. Capisci che sei una formica ti devi mettere sotto e sudare».
Non le piacerebbe inserire dal vivo qualche pezzo dei Queen?
«Appena ho cominciato a fare questo mestiere, ho detto “non canterò mai canzoni dei miei miti: gli intoccabili, in quanto tali, non si possono appunto toccare”. Poi a X factor mi hanno fatto interpretare di tutto, ma con i Queen non mi sono cimentato, anche per un timore reverenziale nei confronti di Mercury»..
C´è una canzone che vorrebbe avessero scritto per lei?
«C´è tempo di Ivano Fossati: l´ho ascoltata 40 volte di seguito e ne ho piante 45. Qualcuno dica a Fossati che mi scriva una canzone. E che non si autoprepensioni. C´è ancora bisogno di lui».
(testo raccolto da fulvio paloscia e gaia rau)
(L’intervista completa cliccando QUI)
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