Max Pezzali racconta: “Ho deciso di dire sì a ‘The Voice Of Italy’ perché volevo trasmettere ai ragazzi quello che ho imparato durante i miei 25 anni di carriera!”
Franci Maggio 7, 2016
E’ stato intervistato da Tv Sorrisi e Canzoni il grandissimo Max Pezzali, e in questa occasione ha avuto modo di fare un veloce bilancio della sua esperienza come coach di The Voice Of Italy 4 accanto a Dolcenera, Emis Killa e Raffaella Carrà:
Dapprima ero scettico, una cosa del tipo ‘Che diritto ho io di giudicare gli altri?‘. Poi ha prevalso la voglia di uscire dalla routine ‘disco-promozione-tour-raccolta-disco‘. E ho pensato che forse avrei potuto trasmettere qualcosa di quello che ho imparato in questi 25 anni nell’ambiente musicale. Far passare il concetto che il talento è uno strumento, ma che non basta se non passa anche quel qualcosa di irrazionale e di non misurabile che fa la differenza.
Nel corso delle Blind Audition, il cantante degli 883 non si girava mai per primo e questa cosa ha fatto molto discutere:
In realtà, dopo il primo giro di audizioni, io avevo praticamente formato la squadra e non volevo rischiare di essere costretto a prendere un talento sbagliato. Il montaggio, per esigenze ‘narrative’, ha spalmato le mie scelte lungo tutto il percorso. Poi conta anche la strategia: non posso mica lasciar vincere il mio amico Emis Killa!
Anche per un grande come lui non è stato semplice iniziare, come ha raccontato nel corso dell’intervista:
Io e Mauro (Repetto, l’altro componente degli 883, il gruppo degli esordi, ndr) c’eravamo innamorati dell’allora neonato hip hop, era l’85 o l’86, e volevamo fare rap. Mandammo anche un brano a Jovanotti, all’epoca dj, che lo passò nel suo programma a Radio Deejay. Cantavamo in inglese e in verità eravamo alquanto improbabili come rapper, quindi decidemmo di scrivere canzoni. Mauro disse: “Dobbiamo trovare qualcuno che creda in noi”. Andò alla Sip, come si chiamava allora la Telecom, e recuperò le “Pagine gialle” di Milano alla voce «Case discografiche». Contattammo la Warner, ma in realtà non si trattava della casa discografica, bensì delle edizioni musicali. Ci fecero un contratto editoriale da poche centinaia di migliaia di lire per consegnare un sacco di brani al mese. Non ne venne fuori nulla di concreto, ma fu un’esperienza importante perché avere delle scadenze per i brani da consegnare mi fece capire che la musica è un mestiere. Che non vuol dire mettere la creatività al servizio degli obblighi, ma che il talento e la creatività senza disciplina non vanno da nessuna parte.
E per Max funziona ancora oggi così:
Non credete a tutte quelle sciocchezze sull’ispirazione che arriva di notte. Una cosa è scherzare o provare gli strumenti, un’altra scrivere canzoni. In questo caso, almeno per quanto mi riguarda, devo immergermi completamente, pensare solo a quello, fare solo quello. Allora sì che nel sonno ti viene l’idea su quell’accordo o quel verso che ti mancava!
L’autore di Come Mai, dopo tanto successo riscosso negli anni, si stupisce ancora di essere considerato come una sorta di icona da molti giovani artisti:
È vero, perché spesso non si ha un’idea reale di quale sia l’effetto che i propri pezzi suscitano nelle persone. O al limite lo si immagina. Ma è sempre qualcosa che deriva dalla propria percezione e non è detto che sia quella giusta. Quando trovi delle persone, magari diversissime artisticamente da te, che si sono appropriate di qualcosa di tuo e questo ha permesso loro di realizzare delle cose completamente diverse, ti stupisci.
A Max sono, infine, state poi chieste quali siano le sue 5 regole per costruire una hit di successo:
Deve succedere qualcosa entro i primi 10-15 secondi della canzone; il ritornello deve restare nella memoria, anche se non contiene delle parole; ci deve essere qualcosa, dalla timbrica alla scrittura, che venga associata solo a te; tutti i suoni devono essere ben miscelati; serve l’emozione che è la cosa più importante.
Che ne pensate delle sue parole? Vi sta piacendo Max nel ruolo di coach di The Voice?
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