‘The Voice of Italy 4′: l’opinione di Chia sull’ottava puntata

Se devo essere sincera, a me la fase delle Battle a The Voice of Italy non fa impazzire, soprattutto quest'anno.



Se fino alla scorsa edizione, infatti, i talenti messi a confronto sull'esecuzione del medesimo brano erano due, quest'anno -avendo aumentato il numero dei componenti di ciascun Team- sono diventati tre. Tre belle voci -chi più, chi meno- che hanno poco più di due minuti di canzone da dividersi tra loro, cercando di tirare fuori ciascuna il meglio di sé, perché alla fine della performance se ne salverà soltanto una (a meno che uno degli altri coach prema lo Steal, certo).

A parte che guardare questi ragazzi, dagli sbarbatelli 17enni a quelli un po' più vintage che hanno già superato gli anta, con gli occhi lucidi nel vedersi sfuggire dalle mani il sogno di una vita (che per qualcuno, vista l'età, difficilmente potrà continuare ad essere inseguito...) è stato ogni volta un colpo al cuore, ma quello che principalmente non mi convince delle Battle è la scelta dei brani da parte dei coach.



Nella maggior parte dei casi, infatti, è proprio il brano a fare la differenza: se la canzone scelta è nelle corde del talento che la dovrà eseguire, tutto ok, altrimenti il disastro è praticamente dietro l'angolo. E va bene che bisogna essere versatili e umili nell'approcciarsi al mondo musicale, ma non siamo ad Amici di Maria De Filippi dove per anni e anni ci hanno sfrantumato le balle con l'idea che bisogna saper fare tutto.

Secondo me la versatilità non è tutto, anzi. E' sicuramente un valore aggiunto, ma quando ci troviamo davanti ad un'eccellenza del rock, per esempio, davvero ci interessa sapere se sa interpretare gioviale le mille bolle blu di Mina? Quando a esibirsi è un poeta come Jovanotti, gli potremo mai far notare che agli acuti di Giuliano Sangiorgi lui non ci arriva? Avere un'infarinatura generale di tutti gli aspetti che riguardano la propria arte è sicuramente un bene, ma io a chi sa fare tutto con mediocrità preferisco chi sa fare una sola cosa, ma la fa da Dio. Parere personale, s'intende.



Ed è per questo che diviene inevitabile che un solo brano -scelto arbitrariamente dai coach su non si sa quali basi- difficilmente potrà adattarsi al meglio a tutti e tre i talenti che si devono sfidare sul ring di The Voice, e personalità artistiche ben definite come quella di Mirko Adinolfi (che alle Blind Audition con la sua loop station mi era piaciuto un sacco) ieri abbiano combinato un gran pasticcio, risultando poco credibili se abbinate a canzoni completamente al di fuori del loro raggio d'azione. Mettete De Andrè a cantare Bocelli, o Mengoni ad esibirsi sui brani di CapaRezza, e avrete la conferma. Vogliamo parlare dello strepitoso Armand Curameng a cui Raffaella Carrà ha fatto cantare Regina Di Cuori dei Litfiba?

Tutto sommato, visti i brani assegnati e le performance che ne sono conseguite, sono stata abbastanza concorde con le scelte dei giudici, soprattutto per quanto riguarda Manuel Aspidi, Cristiano CartaFrances Alina Ascione e la mia prediletta (insieme al buon Charles Kablan che abbiamo visto sul palco la settimana scorsa) Giorgia Alò.

Se devo essere sincera, un sacco di facce viste ieri sul ring manco me le ricordavo più, giusto per farvi capire quanto i giudici siano stati di maglia larga alle Blind, e a stupirmi è che il neomelodico Pino Giordano sia ancora in gara e gente come Virna Marangoni sia a casa sua. Pazzesco.

Ed ora mi preparo ai Knock Out, dove finalmente i talenti si esibiranno sul loro cavallo di battaglia. Lì sì che sarà più semplice capire se ce n'è o non ce n'è.